Benvenuti a Cincu, una delle principali basi militare della Romania. La grande area, estesa su oltre cinquanta chilometri quadrati, si stende ai piedi dei Carpazi e dall’inizio delle ostilità in Ucraina è diventata il cuore del dispositivo NATO nel Paese balcanico. Il comando è affidato alla Francia che ha via via aumentato il suo contingente di terra portandolo al momento ad oltre mille effettivi. Al loro fianco un centinaio di aviatori e di specialisti di sistemi di difesa antimissilistici e reparti belgi e olandesi.
Un impegno oneroso — solo nel 2022 la missione “Aigle” è costata circa 450 milioni di euro e per l’anno prossimo il ministro della Difesa Sébastien Lecornu ha annunciato un aumento di altri 500 milioni — che supera di gran lunga lo sforzo fatto negli anni Novanta, quando Parigi intervenne su mandato ONU nelle guerre jugoslave.
A fare la differenza rispetto alle altre operazioni dell’Armée in Europa, ma anche nel Sahel e nel Levante, è la dislocazione dei carri armati pesanti Leclerc, dei colossi cingolati pesanti 56 tonnellate e armati di un cannone da 120/52, ideati e costruiti negli anni Ottanta per battersi contro i tank del Patto di Varsavia. Per il momento a Cincu, assieme a 140 blindati della fanteria corazzata leggera, sono arrivati i primi tredici e altrettanti sono previsti nella primavera.
Ma oltre ai Leclerc stanno arrivando anche i paracadutisti dell’8° Régiment parachutiste d’infanterie de Marine (RIPMA), uno dei ferri di lancia delle forze armate transalpine sino a quest’estate impegnato nell’operazione Barkhane nel Sahel. La fine della sfortunata missione — affondata per motivi politici da Macron, sempre più in affanno nelle ex colonie africane — ha reso nuovamente disponibili i 1200 baschi rossi acquartierati a Castres. Tra giugno e ottobre una compagnia del RIPMA ha già svolto un primo ciclo in Romania e ora l’intero reggimento, dimenticato il deserto, è in piena attività addestrativa per “rimodellarsi ai nuovi terreni operativi e al cambio di paradigma”.
Lo Stato Maggiore ha previsto per i paras una serie di serrate manovre nelle montagne dei Pirenei ad un’altitudine di mille metri. Vento, freddo e neve nella previsione di dover affrontare e combattere (almeno ipoteticamente) un nemico ben più difficile e determinato degli sfuggenti miliziani della guerriglia islamista nel Sahara. Giochi di guerra continueranno a ritmi forzati dopo Capodanno con la grande esercitazione “Orion” in cui per la prima volta, dopo decenni di basso profilo e pesanti economie, l’Armée impegnerà per tre mesi oltre diecimila soldati.
Insomma, un chiaro “messaggio di potenza” che Parigi lancia a Mosca ma anche ai suoi alleati occidentali. L’inquilino dell’Eliseo avverte così amici e nemici che la Francia si ritiene ancora una potenza militare ed è pronta a dispiegare ovunque serva — ovvero dal Baltico alla Romania — uomini, mezzi e munizioni e non teme di confrontarsi con qualsiasi avversario, anche il più temibile.
Vi è però un problema. Anzi più d’uno. Al netto delle incontestabili capacità combattive dei reparti d’élites, la ritrovata “grandeur” macroniana deve fare i conti con arsenali semi vuoti e l’obsolescenza dei materiali. Il frutto avvelenato della lesina post-guerra fredda. Gli stessi Leclerc sono carri di vecchia generazione, possenti ma tecnicamente superati, e soprattutto sono pochi, molto pochi se confrontati con l’attuale forza corazzata russa che, nonostante le pesati perdite subite da febbraio ad oggi, allinea almeno 1550 carri T-72 e T-80. Nelle caserme francesi (principalmente a Verdun) rimangono ufficialmente solo 223 esemplari di cui meno di 200 operativi. Da qui la decisione — in attesa del futuribile ma ancora allo stato progettuale nuovo carro franco tedesco MGCS (Main Ground Combat System) — di modernizzare i Leclerc rimasti, mantenendoli in linea sino al 2050. Un po’ poco per una politica di potenza credibile.